Ci sono date che diventano immediatamente leggenda, momenti che segnano il confine tra il prima e il dopo nella storia della Formula 1. Il 6 ottobre 1968, al circuito di Watkins Glen, ne è nato uno: quello del debutto di Mario Andretti, destinato a diventare uno dei piloti più completi e vincenti della storia dell’automobilismo.
In un’epoca in cui la Formula 1 era un universo ancora poco accessibile per i piloti americani, Andretti fece il suo ingresso sul palcoscenico mondiale con un impatto che pochi avrebbero potuto immaginare. Quel giorno, non soltanto prese parte al suo primo Gran Premio di F1, ma conquistò addirittura la pole position, un risultato straordinario che lasciò il paddock sbalordito.
L’americano che voleva sfidare l’Europa

Nato a Montona d’Istria nel 1940 e emigrato da bambino negli Stati Uniti, Mario Andretti era già un nome noto oltreoceano: dominatore delle corse a ruote scoperte americane e futuro vincitore della 500 Miglia di Indianapolis del 1969, il suo talento era indiscusso. Tuttavia, il salto nella massima serie europea era tutt’altro che scontato.
La Lotus gli aveva aperto le porte per il Gran Premio degli Stati Uniti del 1968. Andretti, affamato di gloria e motivato dal desiderio di dimostrare che anche un americano poteva imporsi nel mondo elitario della F1, si presentò a Watkins Glen senza timori reverenziali.
Watkins Glen, un palcoscenico speciale
Il tracciato di Watkins Glen era considerato la “casa” della Formula 1 negli Stati Uniti: tecnico, veloce, immerso nei boschi dello stato di New York, rappresentava una sfida ideale per testare il coraggio e la sensibilità dei piloti.
Andretti non ebbe bisogno di adattamento. Alla guida della sua Lotus 49B spinse fin da subito al limite, sorprendendo tutti durante le qualifiche: il cronometro parlò chiaro, pole position al debutto. Un’impresa che lo collocò immediatamente tra i nomi da ricordare.
Un esordio difficile in gara
Se il sabato aveva regalato un sogno, la domenica mostrò la durezza della Formula 1. Problemi tecnici frenarono Andretti, che non riuscì a trasformare la pole in un risultato importante in gara. Ma il messaggio era già stato lanciato: l’italoamericano aveva la stoffa per stare tra i grandi.
L’inizio di una carriera leggendaria
Quel 6 ottobre 1968 rimase il punto di partenza di una carriera che avrebbe segnato la storia. Mario Andretti disputò 128 Gran Premi di F1, conquistando 12 vittorie e soprattutto il titolo mondiale del 1978 con la Lotus, diventando uno dei pochi americani a laurearsi campione del mondo.
Ma non solo: fu protagonista anche in IndyCar, Nascar, endurance e in ogni categoria in cui si cimentò, incarnando il mito del pilota universale. La sua pole a Watkins Glen resta un simbolo di determinazione e talento puro: un debutto che ancora oggi ha pochi eguali nella storia della Formula 1.
Perché ricordarlo oggi
Rievocare quel giorno significa ricordare che la Formula 1 non è soltanto una competizione di macchine, ma una saga di uomini capaci di scrivere pagine epiche al primo colpo. L’impresa di Andretti dimostra che il coraggio e la passione possono abbattere ogni barriera culturale e sportiva.
Il 6 ottobre non è soltanto l’anniversario di un debutto: è la celebrazione di un pilota che, con una pole, ha aperto la strada a un’intera carriera di vittorie e ha portato il nome degli Stati Uniti nell’albo d’oro della F1.





