Ci risiamo. Quando la Ferrari va forte, inizia subito il coro del “è la svolta”. Ma se ascolti bene, sotto i fuochi d’artificio del podio di Leclerc, senti ancora il rumore sordo delle domande che nessuno vuole farsi:
questa Ferrari è davvero rinata o ha solo trovato la pista perfetta per mascherare i soliti limiti?
Lo ha detto chiaramente Alberto Sabbatini a Pit Talk: “Una gara non fa primavera”. E in Messico, di primavera, c’era solo il sole.
Leclerc secondo, ottimo; macchina finalmente bilanciata, bene; ma 30 secondi presi da Norris gridano vendetta. Mezzo secondo al giro. Roba che, in altri tempi, a Maranello avrebbero smontato il box a mani nude.
Il punto è che il miracolo messicano poggia su condizioni irripetibili: asfalto vellutato, grip da pista di ghiaccio, aria rarefatta che aiuta i cavalli del V6 rosso. La power unit Ferrari ha spinto bene — lo dimostra pure la Haas, pimpante come mai — ma da qui a parlare di rinascita, ce ne passa.
Hamilton, l’ombra in rosso

Photo credits: Scuderia Ferrari HP via X
E poi c’è Lewis Hamilton, l’uomo più atteso, quello che doveva “portare mentalità vincente” a Maranello.
Peccato che, finora, abbia portato solo malumore e gesti di resa. In Messico ha iniziato da leone — partenza aggressiva, duelli da vecchio campione — ma si è incartato subito dopo. Sabbatini lo ha inchiodato:
“Quando non sente la macchina giusta, tira su il piede.”
Tradotto: quando non c’è gloria, Lewis si spegne.
E la cosa più preoccupante è che non si tratta di una voce isolata: lo si è visto per tutto il 2025. In un anno dove la Ferrari ha alternato acuti e disastri, lui non ha mai mostrato il guizzo di chi vuole ribaltare la situazione.
A Città del Messico ha commesso errori, non ha restituito la posizione dopo il taglio con Verstappen, si è preso la penalità e poi… sparito.
Il resto lo ha fatto Leclerc, che lo ha trattato da pari — o forse da rivale — già in pista. “Due o tre cattiverie, non scorrettezze”, ha detto Sabbatini. Ma il messaggio era chiarissimo: “Qui comando io.”
Il rischio? Che la Ferrari, nel tentativo di rinascere, si ritrovi con due galli nello stesso pollaio. E uno dei due ha sette titoli mondiali.
Ferrari: bene il motore, male la costanza
Sul fronte tecnico, qualche segnale buono c’è: la PU Ferrari è viva, ha retto in altura e ha spinto bene anche sulle macchine clienti. Ma serve altro.
Serve ritmo, serve gestione, serve un team che non lasci solo il pilota a sbagliare decisioni da box, come nel caso della penalità di Hamilton. Sabbatini lo ha detto chiaramente: “Perché la squadra non l’ha avvertito?”
Una domanda che brucia, perché a Maranello certe distrazioni costano sempre care.
Ending a solid weekend with a well deserved Podium pic.twitter.com/2RIEChpFlv
— Scuderia Ferrari HP (@ScuderiaFerrari) October 27, 2025
Il paradosso rosso
Il paradosso è servito: Leclerc fa il capolavoro, tiene in piedi la baracca e finisce davanti a un Hamilton apatico, mentre la Ferrari si illude di essere tornata grande per un weekend.
Ma la verità è che, finché non arriveranno risposte di continuità, resterà una squadra in cerca di identità.
E Hamilton? Forse ha già capito che nel 2025 non si vince niente e ha iniziato a risparmiare energie. Peccato che a Maranello non si paghi a consumo.
Il rosso che abbaglia
Il Messico ha mostrato la faccia più contraddittoria della Ferrari moderna: talento, potenza, orgoglio… e la solita fragilità.
Ha illuso per una notte, sì. Ma sotto la vernice lucida, le crepe restano.
E se Hamilton continuerà a tirare su il piede appena sente la fatica, allora la Ferrari potrà anche accendere tutti i cavalli del mondo — ma non arriverà mai a domarli davvero.





