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venerdì, Novembre 14, 2025

F1 | Sabbatini: “Una gara non fa primavera”. Ferrari, è vera svolta?

Alberto Sabbatini a Pit Talk non si lascia ingannare dal podio di Leclerc: "Una gara non fa primavera". Il Messico ha mostrato una Ferrari forte ma in condizioni irripetibili. I 30 secondi da Norris e le difficoltà di Hamilton raccontano una squadra ancora lontana dalla vetta.

Ci risiamo. Quando la Ferrari va forte, inizia subito il coro del “è la svolta”. Ma se ascolti bene, sotto i fuochi d’artificio del podio di Leclerc, senti ancora il rumore sordo delle domande che nessuno vuole farsi:

questa Ferrari è davvero rinata o ha solo trovato la pista perfetta per mascherare i soliti limiti?

Lo ha detto chiaramente Alberto Sabbatini a Pit Talk: “Una gara non fa primavera”. E in Messico, di primavera, c’era solo il sole.

Leclerc secondo, ottimo; macchina finalmente bilanciata, bene; ma 30 secondi presi da Norris gridano vendetta. Mezzo secondo al giro. Roba che, in altri tempi, a Maranello avrebbero smontato il box a mani nude.

Il punto è che il miracolo messicano poggia su condizioni irripetibili: asfalto vellutato, grip da pista di ghiaccio, aria rarefatta che aiuta i cavalli del V6 rosso. La power unit Ferrari ha spinto bene — lo dimostra pure la Haas, pimpante come mai — ma da qui a parlare di rinascita, ce ne passa.

Hamilton, l’ombra in rosso
Lewis Hamilton (Ferrari) nel paddock di Monza (2025)
Photo credits: Scuderia Ferrari HP via X

E poi c’è Lewis Hamilton, l’uomo più atteso, quello che doveva “portare mentalità vincente” a Maranello.

Peccato che, finora, abbia portato solo malumore e gesti di resa. In Messico ha iniziato da leone — partenza aggressiva, duelli da vecchio campione — ma si è incartato subito dopo. Sabbatini lo ha inchiodato:

“Quando non sente la macchina giusta, tira su il piede.”

Tradotto: quando non c’è gloria, Lewis si spegne.

E la cosa più preoccupante è che non si tratta di una voce isolata: lo si è visto per tutto il 2025. In un anno dove la Ferrari ha alternato acuti e disastri, lui non ha mai mostrato il guizzo di chi vuole ribaltare la situazione.

A Città del Messico ha commesso errori, non ha restituito la posizione dopo il taglio con Verstappen, si è preso la penalità e poi… sparito.

Il resto lo ha fatto Leclerc, che lo ha trattato da pari — o forse da rivale — già in pista. “Due o tre cattiverie, non scorrettezze”, ha detto Sabbatini. Ma il messaggio era chiarissimo: “Qui comando io.”

Il rischio? Che la Ferrari, nel tentativo di rinascere, si ritrovi con due galli nello stesso pollaio. E uno dei due ha sette titoli mondiali.

Ferrari: bene il motore, male la costanza

Sul fronte tecnico, qualche segnale buono c’è: la PU Ferrari è viva, ha retto in altura e ha spinto bene anche sulle macchine clienti. Ma serve altro.

Serve ritmo, serve gestione, serve un team che non lasci solo il pilota a sbagliare decisioni da box, come nel caso della penalità di Hamilton. Sabbatini lo ha detto chiaramente: “Perché la squadra non l’ha avvertito?”

Una domanda che brucia, perché a Maranello certe distrazioni costano sempre care.

Il paradosso rosso

Il paradosso è servito: Leclerc fa il capolavoro, tiene in piedi la baracca e finisce davanti a un Hamilton apatico, mentre la Ferrari si illude di essere tornata grande per un weekend.

Ma la verità è che, finché non arriveranno risposte di continuità, resterà una squadra in cerca di identità.

E Hamilton? Forse ha già capito che nel 2025 non si vince niente e ha iniziato a risparmiare energie. Peccato che a Maranello non si paghi a consumo.

Il rosso che abbaglia

Il Messico ha mostrato la faccia più contraddittoria della Ferrari moderna: talento, potenza, orgoglio… e la solita fragilità.

Ha illuso per una notte, sì. Ma sotto la vernice lucida, le crepe restano.

E se Hamilton continuerà a tirare su il piede appena sente la fatica, allora la Ferrari potrà anche accendere tutti i cavalli del mondo — ma non arriverà mai a domarli davvero.

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