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venerdì, Novembre 14, 2025

F1 | Messico: il circuito che ha conquistato (e tradito) la Ferrari

Dal trionfo di Surtees nel 1964 alla rinascita del 2015, il Gran Premio del Messico racconta sessant’anni di emozioni, sfide tecniche e passione travolgente. Un circuito unico per altitudine e atmosfera, dove la Ferrari ha scritto pagine leggendarie e la Formula 1 continua a fondersi con il calore del pubblico latino.

Il Gran Premio del Messico è uno degli appuntamenti più suggestivi e peculiari del calendario di Formula 1. Non solo per la cornice colorata e travolgente dell’Autódromo Hermanos Rodríguez, ma anche per la sua storia ricca di emozioni, interruzioni e rinascite. È una gara che racchiude tutto ciò che rende la Formula 1 affascinante: velocità, tradizione e il calore di un popolo che vive i motori con entusiasmo viscerale.

Le origini: gli anni ’60 e il mito dei fratelli Rodríguez

Il primo Gran Premio del Messico valido per il Mondiale si disputò nel 1963, ma la Formula 1 aveva già fatto tappa a Città del Messico l’anno precedente, in un evento non valido per il campionato. La gara nacque come omaggio ai fratelli Pedro e Ricardo Rodríguez, due pionieri del motorsport messicano che riuscirono a portare il nome del loro Paese ai vertici internazionali.

Tragicamente, Ricardo perse la vita proprio durante quella gara inaugurale del 1962, un evento che segnò profondamente la nascita del circuito, successivamente intitolato a entrambi i fratelli.

Negli anni ’60 il GP del Messico divenne un punto fermo del calendario. L’atmosfera elettrica e la velocità del tracciato, allora lungo oltre 5 km, ne fecero una delle tappe più amate dai piloti. Qui si scrissero pagine storiche: nel 1964 la Ferrari di John Surtees conquistò il titolo mondiale proprio in Messico, in una gara rocambolesca che vide il ritiro di Graham Hill e Jim Clark all’ultimo giro. Era l’epoca dell’eroismo, delle monoposto spinte al limite, e il circuito di Città del Messico incarnava perfettamente quello spirito.

Le difficoltà e la lunga assenza

Una fase della gara messicana del 1970

Negli anni ’70, però, il Gran Premio iniziò a vivere problemi organizzativi. Le infrastrutture non erano più all’altezza, e soprattutto il pubblico diventava sempre più difficile da gestire: in più di un’occasione si registrarono invasioni di pista e problemi di sicurezza. Dopo l’edizione del 1970, vinta da Jacky Ickx su Ferrari, la Formula 1 lasciò il Messico per quasi due decenni.

Il ritorno avvenne nel 1986, con un circuito rinnovato e un’atmosfera da grande festa. L’Autódromo Hermanos Rodríguez fu aggiornato e ospitò subito gare spettacolari. Tra i momenti più celebri di quel periodo resta impresso il dominio di Nigel Mansell nel 1992, autore di uno dei sorpassi più audaci della storia su Berger all’esterno della lunghissima curva Peraltada. Ma anche in questa nuova era, problemi legati all’altitudine (oltre 2.200 metri) e alle vibrazioni del tracciato portarono a un nuovo addio dopo il 1992.

La rinascita moderna: dal 2015 a oggi

Lewis Hamilto al traguardo della gara del 2018. Per lui è la conquista del suo quinto mondiale di Formula 1 – 2018 #MexicoGP

Bisognerà attendere il 2015 per rivedere la Formula 1 in Messico. Il tracciato, ridisegnato dall’architetto Hermann Tilke, mantenne il nome e parte del layout originale, ma con modifiche che lo resero più sicuro e moderno. La Peraltada venne tagliata per lasciare spazio al celebre passaggio attraverso lo stadio “Foro Sol”, una delle immagini più iconiche del Circus contemporaneo: le monoposto che sfilano tra le tribune gremite, in un boato di passione unico al mondo.

Da allora il Gran Premio del Messico è tornato a essere una tappa centrale del campionato, spesso decisiva per l’assegnazione dei titoli mondiali. Nel 2017 e nel 2018, proprio qui Lewis Hamilton conquistò due dei suoi Mondiali con la Mercedes, in un contesto che ha sempre messo a dura prova motori e aerodinamica per via della rarefazione dell’aria in quota.

La Ferrari in Messico: vittorie, speranze e contraddizioni

Il legame tra la Ferrari e il Gran Premio del Messico è profondo e ricco di contrasti. Fin dalle origini, il Cavallino Rampante ha trovato a Città del Messico un palcoscenico ideale per esaltare la propria leggenda. Nel 1964, come ricordato, fu proprio la Ferrari a vivere uno dei suoi momenti più simbolici: John Surtees vinse il titolo mondiale in un finale drammatico, consegnando a Maranello un successo leggendario.

Negli anni successivi, anche Jacky Ickx, nel 1970, portò la Rossa sul gradino più alto del podio, in una delle sue vittorie più pulite e dominanti.

Nella seconda era del GP, quella tra gli anni ’80 e ’90, Ferrari visse stagioni alterne: la 640 di Prost e Mansell sfiorò più volte la vittoria, ma non riuscì mai a imporsi definitivamente.

Nel periodo moderno, invece, la Scuderia ha spesso trovato difficoltà a esprimere il massimo potenziale, complice un tracciato che penalizza la potenza del motore termico e l’efficienza aerodinamica.

Tuttavia, il Messico resta un appuntamento speciale per la Ferrari, anche per il calore con cui i tifosi sudamericani accolgono il Cavallino. E ogni anno, il rosso delle tribune del Foro Sol ricorda che, anche lontano da Maranello, la passione per la Ferrari non conosce confini.

Tra storia e leggenda

Il Gran Premio del Messico non è solo una gara: è un evento culturale. Una miscela di folklore, storia e tecnologia moderna che racconta quanto la Formula 1 riesca a superare confini e generazioni. Dalla tragedia di Ricardo Rodríguez al trionfo di Surtees, fino alle sfide moderne della Ferrari e dei campioni di oggi, il Messico ha vissuto tutte le emozioni che questo sport può offrire — e continua, anno dopo anno, a regalarle al mondo intero.

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