C’è un limite sottile tra modernizzare e snaturare. E la sensazione è che la Formula 1, sotto la gestione Liberty Media, stia ormai oltrepassando quella linea con passo deciso, spinta più dallo show che dalla passione vera. È la critica, lucida e feroce, che arriva da Codignoni, ospite nell’ultima puntata di Pit Talk, dove ha smontato punto per punto la deriva spettacolare che la F1 sta vivendo sotto la regia di Stefano Domenicali.
Tra business e tradizione: la F1 a due velocità
«Non scindere le due cose», ha esordito Codignoni, riferendosi alla doppia anima del Circus. Da un lato c’è Liberty Media, gruppo americano che fa il suo mestiere: generare profitto, vendere eventi, esportare il prodotto in nuovi mercati. Dall’altro però c’è un mondo – quello del motorsport autentico – che rischia di scomparire sotto il peso dei bilanci e delle strategie marketing.
E qui la bordata più diretta: “Con Liberty Media non ci dimentichiamo che anni fa potevano comprare il wrestling… e forse ci siamo finiti dentro comunque.”
Una frase che riassume tutto: l’idea di spettacolo sta prevalendo sull’essenza sportiva. La Formula 1 è sempre meno corsa e sempre più palcoscenico, più red carpet che pit lane.
Griglie invertite e DJ in griglia: la F1 che non vogliamo
Il discorso si fa ancora più duro quando si toccano le innovazioni “spettacolari” introdotte negli ultimi anni. Griglie invertite, Sprint Race ovunque, DJ set sulla griglia di partenza: elementi che, secondo Codignoni, “fanno venire il latte alle ginocchia”.
E come dargli torto?
Quella che un tempo era la mezz’ora sacra della concentrazione – il momento in cui i piloti si chiudevano nel casco e il pubblico tratteneva il fiato – oggi è diventata passerella da evento mondano. Un format più vicino al Super Bowl che al Gran Premio di Monaco.
Il rischio è chiaro: nella corsa a conquistare “i giovani”, si stanno alienando gli appassionati storici. Quei tifosi che vivono la Formula 1 come una religione, non come una serie Netflix.
“Il giovane è mobile per definizione”, ricorda Codignoni, “ma se perdi il vecchio appassionato e poi il giovane ti abbandona per la nuova moda, rischi che alla fine resti con nulla in mano.”

Un monito che suona come una profezia.
Via Imola, dentro il Ruanda? Il paradosso dei nuovi calendari
Il calendario 2025 parla chiaro: più show, più luci, più dollari. Ma meno storia.
L’idea di togliere circuiti come Imola o il Nürburgring per far spazio a tappe esotiche e artificiali – come Las Vegas o, in prospettiva, persino il Ruanda – rappresenta il punto di non ritorno.
È qui che si rompe definitivamente il legame con il DNA della Formula 1, quello costruito su passione, pericolo, romanticismo e odore di benzina.
Codignoni affonda: “Piuttosto cambiamo nome. Chiamiamola Formula 1 e mezzo, Formula 5000, ma lasciamo che la vera Formula 1 torni nelle mani di chi la rispetta davvero.”
Parole pesanti, ma difficili da smentire.
L’identità smarrita di un mondo che corre troppo in fretta
Liberty Media ha certamente dato nuova linfa economica e visibilità globale alla Formula 1, ma a quale prezzo?
Se il motorsport diventa intrattenimento, se il podio vale quanto il pre-show musicale, se il rischio e il sacrificio dei piloti vengono sostituiti dal marketing patinato, allora forse stiamo davvero assistendo a una mutazione genetica.
La F1 non morirà domani. Ma potrebbe smettere di essere la Formula 1 che abbiamo amato.
E allora, come dice Codignoni, forse è il caso di ridarle il suo nome, e lasciare questo “spettacolo” a chi del rumore dei motori non ha mai capito il senso.





